La Malora, Langhe Nebbiolo, Terredavino.
In alcuni film datati si trovano ancora scene in cui qualche avventore rubizzo grida "Oste della malora!" al gestore della taverna colpevole di aver portato vino cattivo o andato a male. Si tratta di una locuzione antica, in disuso, ma ancora ben presente nel tessuto sociale e nei dizionari. La Treccani a proposito della parola "malora" scrive: "Perdizione, rovina, in ora non buona, non fausta, disgraziata". In modo molto pratico: quando qualcosa di commestibile è "andato a male" si diceva (e probabilmente si dice ancora) "è andato in malora". Insomma non si spiega, dal punto di vista culturale, semantico, fonetico, sociale, pratico e via dicendo, che un produttore di grande rilievo (per alcuni vini di punta, dal nome molto bello come ad esempio "La Luna e i Falò") abbia deciso di chiamare un vino della propria produzione "La Malora".
Non si spiega neppure nel presunto tentativo di fare qualcosa di attenzionale, azzardato, coraggioso. Il significato, nemmeno troppo recondito, della Malora è... la malora! Non si scappa. Non confondiamo l'azzardo con le cadute di stile e soprattutto con potenziali errori di "posizionamento del significato": hai voglia poi a recuperare terreno con il marketing e il posizionamento di prodotto. Basterebbe chiedere a 100 persone a caso se porterebbero a cena a casa di amici un vino che si chiama "La Malora", 95 di loro probabilmente non lo farebbero nemmeno se è molto buono (e lo sarà senz'altro), nemmeno se è molto conveniente (neanche troppo), forse nemmeno se è regalato. Per quanto riguarda la possibilità di metterlo sulla propria tavola, forse incollandoci sopra un nastro adesivo a coprire il nome, giusto per non avere dissonanze quando, al levare dei calici, si reciterà il consueto e benaugurante "alla salute!".