Le etichette, se non fosse per la scelta di "disassàre" le lettere del nome, potrebbero anche passare la censura ottenendo un 6 (meno, meno). Ma i nomi no. Sui nomi non possiamo soprassedere. La ragione è semplice e facile da comprendere: questi due vini sono secchi e non dolci. In modo particolare il Fiano che si chiama "Dulcis" si presta a un clamoroso equivoco, cioè al rischio che potenziali clienti non intenditori (l'80% del mercato fatica a conoscere e capire la differenza tra un Fiano, uno Zibibbio, un Greco o un Gold Muskateller) non acquistino il prodotto in questione (perché pensano che sia un vino dolce) oppure lo acquistino per questo specifico motivo (pensando che sia dolce) e ne rimangano alfin delusi (perché pensavano di abbinarlo a un determinato cibo e invece non hanno potuto farlo). Deludere un nuovo potenziale cliente è la peggior tregenda che possa accadere a un'azienda (fa anche rima). In generale la linea di naming del produttore in esame non è malvagia: fa riferimento a termini latini come Maior, Ver Sacrum, Silvis, Safinim, con origini e storytelling "nobili" e coerenti con il mondo del vino (soprattutto nella zona di produzione in questione: la Campania) ma in particolare questi due vini, "Dulcis" e "Suavis", rischiano di essere fuorvianti nella maggior parte dei casi. Qualche dubbio anche sul nome aziendale "Fosso degli Angeli", dove "fosso" non è semanticamente parola tranquillizzante. Una sfumatura, certo, ma che può portare aspetti emozionali negativi.