Parole, Parole, Parole

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Kamaratòn, Fiano e Santa Sofia, 
Silva Plantarium.

Davvero ricca di nomi interessanti la storia personale e imprenditoriale di Mario Donnabella. Partiamo dal nome del titolare e produttore (già particolare) per inoltrarci in un racconto che nel sito aziendale diviene interessante di riga in riga. Siamo nel Cilento, nel comune di Torre Orsaia, frazione Borgo Cerreto, a trecento metri sopra il mare di Policastro, sotto al monte Centaurino, tra i fiumi Bussento e Mingardo. Riferito al viticoltore, nel sito internet dell’azienda si dice: “Non ci sono giorni uguali, c’è la vita che scorre. Lui invecchia e lei l’accompagna in questo tempo fatto di istanti e lunghe stagioni che si susseguono. Ogni giorno fa del suo meglio per prendersene cura, per rispettarla, per scoprine irruzioni, meraviglie, silenzi, talvolta malumori e contraddizioni. È ecosostenibile, biologico e biodinamico, o meglio, un agricoltore che vuole proteggere l’ambiente e il futuro dei propri figli e nipoti, senza troppo disturbare. Lascia che la natura agisca con i suoi tempi e le sue modalità e, nel frattempo, ascolta e impara. Suo padre faceva lo stesso. Da sempre i suoi maestri sono Rudolf Steiner, Masanobu Fukuoka, Alex Podolinsky, Alex Shigo, Klaus Mattheck e Teruo Higa” (ancora nomi, quindi, e di un certo spessore filosofico). Ma non è finita qui.
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L’azienda si chiama “Silva Plantarium”, cioè vivaio di piante da bosco, perché si coltivano, oltre alla vite, altre vegetazioni da macchia mediterranea come il cerro, il leccio, le roverelle, l’orniello e l’olmo. E ancora arbusti quali il corbezzolo, il mirto, la ginestra, il lentisco ed altri ancora (oltre a ulivi di cultivar Pisciottana e Provenzana). Tornando al vino, i vitigni che compongono la gamma aziendale sono varietà quasi scomparse come Aglianicone, Santa Sofia e Mangiaguerra (oltre ai “normali” Aglianico e Fiano). La cantina è ricavata da un casolare che si chiama “Casino del Cardinale”. Le vigne che danno frutto si chiamano Tempa d’Elia, Casino, Facenna e Terra Rossa. Può bastare? No, manca il vino in questione che si chiama “Kamaratòn”. E perché si chiama così? Perché “...custodisce dentro di sé l’amore tra Fiano (50%) e Santa Sofia (50%) come tra la bellissima fanciulla Kamaratòn e Palinuro, il nocchiero di Enea. Secondo una leggenda locale Palinuro si innamorò di Kamaratòn, la quale non ricambiò il suo amore ed egli, disperato, la inseguì nel fondo del mare, morendo. Venere allora, sdegnata per la crudeltà di Kamaratòn, la trasformò in roccia, dando così il nome al borgo di Camerota, adiacente al villaggio di Palinuro. Kamaratòn e Palinuro vivranno, così, vicini per sempre”. E pensare che alcune aziende non danno nemmeno il nome ai loro vini! Chi troppo e chi niente! P.S.: non abbiamo la minima idea di cosa possano rappresentare i tratti neri e gialli nella parte superiore dell’etichetta. Le colline della zona di produzione, per ipotesi. Certo in modalità piuttosto approssimativa.