Sono pochissime le aziende vinicole che mettono in mostra (o che possono e vogliono farlo) l’evoluzione nel tempo di una loro etichetta. Certo, durante le verticali, quando si degustano vini pregiati di annate anche molto vecchie, si possono cogliere le differenze tra le etichette “di un tempo” e quelle più attuali. Ma nei siti e nella comunicazione ufficiale delle aziende di solito non vengono esposte le etichette storiche e il loro percorso grafico. Questa azienda marchigiana in regime biodinamico decide invece di farlo, coscientemente, e noi cogliamo l’occasione per poter commentare le scelte estetiche che via via nel tempo si sono succedute. Lo facciamo con questo vino che si chiama “Chiaroro” e che prevede l’utilizzo dei vitigni Trebbiano e Pecorino. Visto che il nome del vino non è variato, commentiamo prima quello: non di facile pronuncia e memorabilità, si compone però di due belle parole che stanno bene insieme, chiaro e oro. Cioè chiaro come l’oro. In riferimento alla colorazione intensa del nettare in questione. Nome quindi dal contenuto semantico interessante, ma perdente per metrica e fonetica. Passiamo oltre: nella foto vediamo da sinistra verso destra l’evoluzione delle etichette del Chiaroro dal 2003 ad oggi. Innanzitutto notiamo che la leggibilità del nome è migliorata nel tempo con l’adozione di caratteri di scrittura che sono partiti dal corsivo, attraversando un graziato, per arrivare a un maiuscolo a blocchi compatti molto chiaro (ma purtroppo scritto in verticale). Il logo aziendale, uno stemma, in alto, si è via via rimpicciolito fino a scomparire nell’ultima versione a destra, almeno per quanto riguarda il fronte dell’etichetta. La grafica è migrata, inoltre, da fondi chiari a fondi cromatici più scuri. Fino al packaging attuale, di un giallo pieno, quasi terra di Siena. Da notare che l’etichetta all’inizio era abbastanza semplice, pochi elementi su sfondo chiaro. Poi si è resa più complessa (più “piena” di elementi) negli anni 2008 e 2009. Tornando ad essere più lineare nelle più recenti versioni. Fino all’ultima che propone un minimalismo forse esagerato: tutto lo spazio disponibile è vuoto, tranne per la dizione Marche Bianco a sinistra in basso e il nome del vino accantonato a destra, in verticale. Unico vezzo creativo la O finale del nome, in nero, con le altre lettere in bianco (poco leggibili: staccano troppo poco dal fondo giallo). In sostanza le etichette di questa azienda si sono spostate da un design arcaico, diciamo tradizionale, ad uno più giovane e dinamico. Non per questo guadagnando in eleganza. Il packaging è una questione complessa. E le “verticali” di design, come è stato questo esperimento, lo dimostrano.