Tenuta Iuzzolini.
Doppio rammarico per questo vino: uno riguarda la formulazione del prodotto, dove il super-autoctono, prezioso e raro, Greco di Bianco viene “mescolato” con l’internazionale Chardonnay. Vale a dire un vitigno che più localizzato non si può, con uno la cui diffusione nel mondo l’ha reso molto generico. Sono scelte delegate all’enologo e all’azienda stessa. Ci saranno buoni motivi. L’altra perplessità riguarda l’etichetta, dove un concetto molto bello, forte, pregnante, riscontrabile, viene “giocato” in modo approssimativo e con scarsa incisività. Il concetto è quello che si legge nel testo nella parte centrale dell’etichetta: “La prima volta che si abbassano le travi sopra l’uva, il vino che n’esce si chiama Madre Goccia: esso è ciò che vi è di più delicato e di più squisito nell’uva”. Un nome evocativo, di intensa ispirazione. Si tratta quindi di quello che in termini tecnici si chiama “mosto fiore”, la prima spremitura, in grado di generare il vino migliore (alcuni produttori effettuano solo la prima spremitura, altri anche la terza: va da sé che ci sono delle grandi differenze). Un vino prodotto unicamente con la “Madre Goccia” porta con sé un messaggio qualitativo di grande portata. E cosa succede, quindi, nella sua “traduzione” nella parte visiva? È lì da vedere: il nome in alto, con un carattere ombreggiato molto discutibile, il messaggio in questione, al centro, con un corsivo non molto leggibile, il logo del produttore in basso. Campo bianco. Stop. Non sono certo i caratteri di scrittura i principali problemi. Lo è invece l’inconsistenza degli elementi grafici che non denotano nemmeno lo sforzo di una immagine, di una decorazione, di qualche cromatismo, insomma di un’idea (che invece, a livello concettuale, ripetiamo, c’è. Ed è di valore.).