Calera, Ortrugo Malvasia Bonarda Gutturnio, Cantina di Vicobarone.
Nuova linea di vini per la Cantina di Vicobarone, nel piacentino. Si chiama "Calera". Parola che non trova riscontro nei vocabolari italici. Ma che trova una strana e non positiva corrispondenza semantica e fonetica con "galera". Insomma le prigioni. In senso dispregiativo, per di più. Somiglia proprio. E grazie anche al fatto che il nome del vino è scritto con un inchiostro specchiato (e vieppiù per il tipo di carattere utilizzato), leggendo al volo l'etichetta ci può scappare davvero un malinteso tra l'iniziale "C" o "G". Ma andiamo oltre, anche perché nel sito del produttore non si trova altro rational o giustificazione o spiegazione per questo nome. Le etichette, relative a quattro vitigni diversi, sono caratterizzate cromaticamente da tasselli di colori diversi. Sono dei quadri, forse delle rappresentazioni degli appezzamenti, delle vigne, dei terreni, ma le bottiglie non si distinguono, la grafica è la medesima, tranne che per il nome del vitigno e per il collarino di colori diversi. Sarebbe stato interessante utilizzare i quattro tasselli artistici, diversi tra loro, attribuendo uno di essi per ogni bottiglia, per ogni tipo di vino. Ma chissà qual è stato il ragionamento che ha guidato la realizzazione di questi packaging. Rimane anche il mistero delle bottiglie tozze. Ultima moda o valida trovata di marketing?