Grandeur, Barbera d’Alba, Michele Mascarello.
Vediamo subito cosa dice Treccani riguardo alla “Grandeur”: “(propr. “grandezza”) nel linguaggio giornalistico, esibizione o ambizione di potenza, da parte di uno stato, con riferimento soprattutto alla Francia”. Questo per quanto riguarda il nome del vino. All’etichetta ci arriviamo dopo (anche se vorremmo non arrivarci mai). Si nota subito, alla base della bottiglia, anche il cognome della proprietà, noto e diffuso nelle Langhe: Mascarello. Noto soprattutto per altri produttori di spicco che si chiamano così. Diciamo che in questo caso un po’ di celebrità “di riflesso”, potrebbe arrivare. Ma non è questo il punto. Passiamo dunque al packaging design che in pratica... nega sé stesso. Con un nome così (già discutibile perché in lingua francese e non si capisce perché dobbiamo dare crediti semantici e valoriali ai cugini d’oltralpe, nostri principali concorrenti nel mondo del vino), un nome quindi che inneggia a una certa grandiosità, viene accompagnato da una grafica sinceramente molto provinciale, non in senso dispregiativo, s’intenda, ma letteralmente qualcosa che di internazionale, di ampio, di elevato, non ha nulla. Come spesso abbiamo detto in questo blog, anche in questo caso non in senso dispregiativo, questo è un classico esempio di “etichetta del tipografo del paese”. Purtroppo in via di estinzione, i tipografi di una volta, che il loro onesto e valoroso lavoro l’hanno sempre fatto. Ma qui stiamo parlando di “grandeur”. O forse no?