Bianco, Chardonnay-Sauvignon-Pinot Grigio, Dario Princic.
Questo “Bianco” scritto in giallo ci fornisce l’occasione di reiterare una ormai famosa “battuta” che si sente dire attorno a un desco: “Come mai i vini da uve gialle si chiamano bianchi?”. E’ una questione minima. Ma massimizzante in termini semantici. Dicotomie vitivinicole alle quali abbiamo fatto abitudine. Certo che questo Bianco-Giallo attira l’attenzione. Se non altro perché in etichetta c’è solo quello. Oltre al nome del produttore, ci mancherebbe. Siamo in Friuli ma si potrebbe dire Slovenia, visto che i confini vinicoli da quale parti non sono tracciati se non in termini geologici. Terre asciutte, come chi ci abita e lì produce vino da secoli. Va da sé che anche le etichette possano risultare rastremate, lineari, semplici, senza fronzoli, dirette, taglienti. In questo caso la valenza creativa che ci viene concessa è la modalità artistica con la quale viene scritto il nome del vino. Delle tracce di colore, delle strisce, dei tratti, pittorici, pennellati, amanuensi, che incasellano il nome “Bianco”. Facile, no? Si tratta di un vino bianco, Igt Friuli Venezia Giulia, questa la dizione legale. Per il resto, invece, è tutto particolare. Lavorazione, rese, a anche il prezzo, che non è dei più abbordabili. Ma il lavoro c’è. E un certo orgoglio assolutista, anche.