Tra Arte, Trasgressione e Veritas

Naming etichettevini branding
Vigne del Pellagroso, Merlot, (Antonio “Billy” Camazzola).


Tra una moltitudine di etichette “autogestite” da piccoli produttori, che si trovano spesso nelle circoscritte degustazioni locali, spicca quella di questo vino rosso, che viene dalla provincia di Mantova. La protagonista indiscussa del packaging-design è una donna, una vèstale, una contadina, un’ancella dei tempi moderni, che in posa a dir poco sensuale, “stilla” succo d’uva da un grappolo. L’abbigliamento succinto passa quasi in secondo piano di fronte ad una immagine bucolica e a suo modo sorprendente. Lo stile potrebbe ricordare l’art-decò, i colori sono vividi, la postura intrigante. Si potrebbe dire che con questi “mezzucci” è facile attirare l’attenzione, ma è bene aggiungere che in questo caso l’immagine è dotata di una propria personalità. Non di meno il nome del vino: “Vigna del Pellagroso”. Al di là della possibile origine della parola, non molto gratificante, da “pellagra”, malattia che tempi addietro colpiva il mondo contadino per cause di malnutrizione, sembra proprio che il vignaiolo si sia ispirato a un “giornale indipendente di agitazione sociale di fine ‘800”. Che dire? Davvero particolare. Si potrebbe imbastire tutto un discorso, quindi, su quali elementi visivi e comunicativi, servono maggiormente alla causa dell’attenzione. Ci dilungheremmo a parlare di corpi femminili (e per par condicio, maschili) dei quali la pubblicità, ancora oggi, è portatrice. Ma il censo non è mai cosa buona e giusta. Anche in un paese ancora radicalmente cattolico come l’Italia.