Fontamara e Quercianera, Pinot Grigio e Trebbiano d'Abruzzo, Fontamara.
D'accordo, non si tratta di vitigni eletti, cioè in grado di produrre vini eccelsi, certo che il nome, come diciamo spesso, "vale un Perù". Cioè è in grado di "sollevare" le sorti di un prodotto. Queste etichette (soprattutto la prima) ci vengono incontro con presagi non propriamente gioiosi: la Fonte è Amara e in aggiunta la Quercia è Nera. Si tratta di due marchi della medesima cantina, che in questo caso danno nome ai vini della gamma, risultando in etichetta in grande evidenza.Nulla contro le fonti (ma è pur sempre acqua fresca che con il vino non c'entra) e contro le querce, ma sono i fattori semantici appartenenti all'amaro e al nero che rovinano la percezione. L'azienda ne colleziona due di questi fattori "negativi" (il terzo marchio aziendale è "Mezzadro", insomma non una festa di nome nemmeno lui) e li pone in bella evidenza in etichetta. Operazione discutibile all'origine (la creazione dei nomi/marchio) e anche graficamente nella loro "applicazione". Sia pure dal punto di vista mnemonico questi nomi rischiano grosso: anche se vagamente originali (soprattutto Quercianera) vengono rimossi dalla mente dei consumatori in quanto portatori di sensazioni non positive. Questo è per lo meno il meccanismo psicologio. Sulle questioni commerciali non mettiamo parola, magari l'azienda è riuscita a "compensare" con incoraggianti offerte di marketing e quindi a guadagnare comunque quote di mercato.