Feudi del Duca, Montepulciano d'Abruzzo.
Prendiamo come esempio questo vino che in etichetta si fregia di una nobiltà sinceramente ingombrante. Già, perché di nomi altisonanti come questo ce ne sono in giro tanti sulle bottiglie italiane. Duchi e granducati, scudi e scudieri, feudi, tenimenti, principesse e madrigali. Insomma una profusione di accezioni che sembrano far cadere dall'alto (da una Italia ancora latifondista?) il piacere del vino. E a quale prezzo? Certo, perché spesso il nome altisonante è accompagnato da un costo "alticontante". Come se il vino fosse più buono se è la casata nobile di turno a propinarlo al volgo papillante. In certi casi ci sta. Il riferimento a secolari origini, alla tradizione di famiglie che da sempre si sono "occupate" di vino e dintorni. Ma in molte altre situazione questo uso di terminologie regali può risultare zuccheroso, a tratti antipatico. Siamo anche convinti che spesso non sapendo che pesci pigliare (cioè non sapendo che nome attribuire a un vino) i produttori si buttano "sul classico", sia con le etichette bravamente incorniciate con merletti e castelli (non in questo caso, in cui la grafica è gradevole e "modernista"), sia con nomi che inneggiano a possedimenti principeschi. Il vino evolve, dicono, in bottiglia. Molti luoghi comuni no. E il sapore concettuale di stantìo è proprio lì, dietro l'angolo.