La "serie" di etichette che espongono nomi a "grandi lettere" è, soprattutto negli ultimi anni, infinita. Piace questa modalità grafica che fornisce di certo un "piglio moderno" anche se non sempre efficace. Il rischio, con l'uso libertino delle lettere e dei caratteri di scrittura, è quello di fare un gioco fine a se stesso, cioè una specie di esercizio di design tipografico che non porta vantaggio al prodotto e alla marca. Se la leggibilità non è immediata, ad esempio, si possono perdere punti importanti nei confronti di un concorrente che sullo scaffale si presenta in modo più semplice o anche "antico", ma con una forza comunicativa più lineare e gradevole. L'etichetta non è, non deve essere, un cruciverba da decifrare: non giovano le parole spezzate, sia da dinamiche di scrittura, sia da giochi cromatici, come nel caso qui esposto. Per quanto riguarda il nome di questo vino, una volta decifrato risulta comunque piuttosto inflazionato: di "poggi" in Toscana ce ne sono a migliaia. In sintesi un'etichetta dal nome tipico ma dal tratto criptico.