Alla RIcerca dell'Arte Perduta

packaging grafica brandig comunicazioneSoffio, Chardonnay-Petit Manseng, 
Il Calamaio.

È sempre interessante assistere al passaggio da una etichetta all'altra, da una precedente a una nuova, da parte dei produttori di vino. Di solito si riesce a scorgere il loro "percorso" personale e aziendale, che non è detto sia organico e migliorativo. Ma sempre di un passaggio, di un guado, si tratta. I confronti si possono fare cercando in rete etichette "vecchie" e confrontandole con le nuove emissioni, quando esse vengono annunciate dai produttori. Twitter in questo caso è uno strumento straordinario sia per comunicare (da parte delle aziende) sia per cercare e trovare elementi di spicco in ogni settore. Il Calamaio, piccola azienda sulle colline lucchesi, dimostra agilità nella gestione della comunicazione "digital" così come grande passione per quella che è la parte qualitativa, produttiva, agricola, del vino. Il titolare è un vignaiolo di "nuova generazione", che infatti con le etichette dimostra di non essere attaccato a stereotipi "classici" che soprattutto in Toscana ancora vanno per la maggiore. Ma vediamo come e se è riuscito a creare etichette efficaci, sia pure uscendo dagli schemi. Per quando riguarda "Soffio", l'etichetta precedente (in basso a destra), sia pure fuori dalla norma, richiamava ancora codici "standard": molto "centrata", pulita, il logo scritto in carattere "graziato", unica concessione a un design "diverso", il carattere di stampa del nome. esile e sfuggente come un Soffio. La nuova etichetta è molto diversa, salvo il logo "il Calamaio" che logicamente non cambia. Vediamo forti contrasti tra bianco e nero, con una nota di colore giallo pieno per quanto riguarda il nome "Soffio" (qui sopra a sinistra, di fianco all'altra etichetta, del vino "Poiana", con un colore diverso, ma con medesimo stile). Lo stacco nero su bianco sembrerebbe
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rappresentare le colline d'origine, ottimo effetto ottico "da scaffale" anche per assicurare un certa originalità. Sotto al nome vi sono l'annata e i vitigni che compongono il vino, il tutto eccessivamente accorpato, ai limiti di una comoda leggibilità: per Soffio la necessità di comunicare due vitigni ha complicato le cose. Altra nota di critica, il colore del nome, un giallo molto "ottico": nell'intenzione di farsi notare ci sta, ma toglie eleganza e armonia al tutto. Meno criticabile il fucsia del nome dell'altro vino, "Poiana", ma risulta dirompente anch'esso. Una foglia di vite del medesimo colore accompagna i due nomi: unica nota "arcaica" insieme al carattere graziato del logo, come detto in precedenza. Nel complesso l'etichetta si può annoverare tra quelle "moderne": antagonista ma non protagonista, graficamente forte e di impatto, non totalmente integrata e armonica, non propriamente elegante (ma forse questo è voluto a livello di concept statutario), e infine non valorizzante il prodotto; gli intenditori però dicono all'unanimità che si valorizza da solo, una volta versato nel bicchiere e poi in bocca. Il vino è un'arte, fuori e soprattutto dentro la bottiglia.