Operazione di naming scaltra e premeditata, sembrerebbe, quella dell'azienda Pala, dal 1950 in Sardegna, che ha deciso di chiamare questo vermentino "Stellato". Si tratta di un chiaro aggancio alla terminologia del settore gastronomico che spesso si riferisce a "chef stellati" o a "ristoranti stellati" per indicarne l'assoluto primato in termini di qualità (deriva dalle famose Stelle Michelin, attribuite ai ristoranti di maggior pregio dall'altrettanto famosa Guida). Anche il cielo è "stellato" e questo è il lato più poetico della faccenda, che comunque emerge, grazie anche al visual, nel quadrato al centro della bottiglia, che raffigura alcune stelle stilizzate. Design essenziale (è il nome che domina), grafica molto semplice, una certa originalità nella cartotecnica (le forme fustellate che compongono l'etichetta). Da parte sua il nome brilla, non completamente di luce propria, ma brilla (così come la carta argentata che avvolge la bottiglia, soluzione impegnativa ma originale).
Origine dei Nomi (dei Vini)
La Vite e il Vino, Attilio Scienza, Coltura e Cultura.
Le principali denominazioni che sono riportate nei documenti daziari, nelle opere letterarie o nei libri di cucina del '400 e '500 traggono di solito origine dalle caratteristiche sensoriali dell'uva e del vino (Bianchetta, Mora, Nerello, Verduzzo, Morellino, Dolcetto, Tazzelenghe, etc.) e dalle caratteristiche morfologiche e produttive delle varietà (Pagadebit, Olivella, Duracina, Empibotte, etc.). Meno frequenti sono quelle legate alla fenologia del vitigno (Agostenga, Lugliatica, etc.) o a toponimi e nomi di persone o santi (Malvasia, Vernaccia, Greca, Regina, Santa Maria, Carola, etc.) Per la loro origine selvatica alcuni vitigni mantengono il nome di Lambrusco (da Labrusca), Sauvignon (da Sauvage), Chenin (da Caninus), Oseleta, Abrostine, etc. - http://www.colturaecultura.it/vite-vino
Genio, Ironia, Fortuna?
Dice il produttore nel proprio web che questo vino: "si chiama così perché una volta, nella casa accanto, abitava una vecchia signora sempre vestita di nero, che era stata soprannominata l’uselùn, (l'uccellone)". Ci muoviamo quindi in un ambito dialettale e strettamente locale, per un vino però che negli anni ha conquistato fama anche internazionale. Chi non conosce la storia della signora vestita di nero potrebbe pensare altro, ma sta di fatto che questo nome, purché lungo per una etichetta di vino, ha conquistato l'attenzione dei più, e forse anche di molte gentili signore (magari giovani, che non vestono di nero bensì colorato). Genio? Sregolatezza? Chilosà. Notiamo anche che il carattere di scrittura del nome (che in pratica occupa tutta l'etichetta per cui diventa protagonista assoluto) è di tipo insolito, un po' "tipografico", con una sua modernità vintage anni '70 ma ancora attuale ed impattante. Insomma, una bella barberona (anche per il prezzo!).
La Collina "Arrostita" dell'Erbaluce
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La Mappa del Vino di Colera
Coma Fredosa, Cabernet e Garnatxa, Hugas de Batlle.
A parte il nome, Coma Fredosa, che in italiano può portare fuori strada, e che in catalano denomina una collina (la cantina è proprio sul confine tra sud della Francia e la Costa Catalana spagnola), l'etichetta in analisi evidenza una mappa a tutto campo. Una insolita e curiosa modalità che ha come obiettivo primario di farsi notare, e questo è bene, e secondariamente di consentire una immediata localizzaizone della zona di produzione nonché della sede aziendale. In questo caso la mancata originalità del nome (definizione di località già esistente, presa "a prestito" dalla toponomastica) viene compensata dalla originalità della mappa (realizzata con inchiostri speciali in rilievo e altre accortezze grafico-cormatiche). Nota a margine: il paese del produttore si chiama Colera!
Devassa, la Birra che ti Devasta
Devassa Playboy, Cerveja Pilsen.
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A Volte le Etichette Danno i Numeri
Si tratta di una cantina "all'altezza", sicuramente. Portatrice sana di una enologia "netta", affilata, precisa, puntigliosa. Anche l'etichetta è "pulita" quindi, forse anche troppo, e mira decisamente a far notare quel numero, altimetrico, qualificante, nelle intenzioni del produttore (nota cantina sociale dell'Alto Adige). Certo non tutti in Italia possono permettersi di coltivare uva a quelle altezze: 448 metri sul livello del mare. E con le conseguenti, tonificanti (per le uve), elevate escursioni termiche. Dal punto di vista del nome: i numeri, soprattutto se "composti", non aiutano certo la memorizzazione. Un po' come quelle sigle delle auto, 146, 164, 132, 127, etc. che generano confusione. Per non parlare dei vari modelli di Nokia del passato: 3310, 6310, 8140, e via così. In buona sostanza: i numeri non sono nomi, salvo eccezionali eccezioni.
La Regina con i Piedi Bellissimi
Corton-Charlemagne, Reine Pèdauque.
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L'Azzurreggiante Modernità di Alcune Etichette
Oslavje, Pinot Gris-Sauvignon-Chardonnay,
di Radikon.
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Le quotazioni del produttore sono alte, i prezzi anche. Ma alto è anche il livello qualitativo del vino sul quale c'è poco da discutere. Parliamo invece dell'etichetta con la sua disorientante azzurrità: cromaticamente il ciano e il verde non sono due colori che "dove li metti, stanno". Soprattutto l'azzurro pieno e vivace che viene ritenuto poco alimentare. Qui abbiamo una foglia di vite stilizzata (azzurra, come l'effetto che fa il verderame!) e alla base, in evidenza, il nome del produttore. Viene quindi adottato il nome dell'azienda come appellativo dei vari vini. Tra l'altro in modo piuttosto sbilanciato e forse anche un po' troppo "urlato".
di Radikon.
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Le quotazioni del produttore sono alte, i prezzi anche. Ma alto è anche il livello qualitativo del vino sul quale c'è poco da discutere. Parliamo invece dell'etichetta con la sua disorientante azzurrità: cromaticamente il ciano e il verde non sono due colori che "dove li metti, stanno". Soprattutto l'azzurro pieno e vivace che viene ritenuto poco alimentare. Qui abbiamo una foglia di vite stilizzata (azzurra, come l'effetto che fa il verderame!) e alla base, in evidenza, il nome del produttore. Viene quindi adottato il nome dell'azienda come appellativo dei vari vini. Tra l'altro in modo piuttosto sbilanciato e forse anche un po' troppo "urlato".
Etichetta Snella non Sempre è Bella
Questo vino bianco che viene dalla provincia di Verona, creato con una moltitudine di vitigni della zona (garganega, trebbiano, incrocio Manzoni, cortese, etc.), si mostra con una etichetta molto semplice, si può dire elementare. Fondo colore piatto, cornice essenziale, successione di righe ordinate e "centrate", carattere di scrittura aggraziato come se ne vedono molti. Il suo modo di comunicare è piatto, uniforme, abbastanza "noioso", nel senso che non offre sussulti e quindi niente emozioni particolari. Per quanto riguarda il nome "Ca' del Magro", originale, richiama attenzione, ma rischia di portare elementi negativi. Magro, per un vino, può non essere del tutto lusinghiero. Ecco perché quando si disponde di qualche nome locale, come il nome della vigna o del podere in questione, meglio valutare se esso non porti con sé valenze negative, oltre a quella territoriale, toponomastica, in generale sempre positiva.
Etichette Slegate per Vini Prelibati
Un vino e un produttore che non si discutono. Uno dei pochi vanti di quell'enologia del Sud Italia che in generale non spicca il volo. Anche per via delle condizioni climatiche forse troppo assolate. Bello il nome, che riporta direttamente alle origini, Radici appunto, ricordando anche fisiologicamente da dove "nasce" il vino. Nome "profondo", forte anche nella fonetica, ma breve, memorabile. Inoltre in bella evidenza sull'etichetta. La grafica però non convice. Il logo in basso, in rosso, non "lega" con il resto. Le grandezze ottiche dei caratteri sono piuttosto disordinate. L'uso del colore oro, rosso e bianco su fondo scuro non aiuta la fluidità del design. Insomma, in grande vino in una etichetta che gli sta stretta.
Etichette Anonime Offresi
Ortrugo, Sur Lie, Croci.
Già l'ortrugo non è un vitigno di punta. L'idea di chiamare il proprio vino con il nome del vitigno, specialmente in questo caso, si rivela poco valorizzante. Questo come molti: la scelta di non scegliere, di non dare un nome proprio, originale, dedicato, ad un vino, porta prodotto e produttore immediatamente nell'area della "genericità" che non fa emergere. Si potrebbe desumere che il nome non sia quello più visibile ad un primo sguardo, Ortrugo, che in effetti è il nome del vitigno, bensì la dicitura più piccola, più in basso: "Sur Lie" che sarebbe francese per "sui lieviti". Ma anche in questo caso non ci siamo. Sembra in effetti una descrizione, per di più non in lingua italiana. Non possiamo soprassedere nemmeno sul design dell'etichetta, decisamente debole, elementare, senza veri punti di attenzione, senza originalità, didascalico. Due, tre, quattro caratteri diversi di scrittura, il colore azzurro, i "pesi" grafici: una gestione degli spazi che lascia perplessi. L'unica buona idea è quella di mettere una breve descrizione sul fronte, laddove il 90% dei produttore la confina sul retro. P.S.: sembra che il nome del vitigno "Ortrugo" possa derivare dall'antico modo di dire "altruga", cioè "altra uva", a definire una tipologia che nel lontano 1800 non era tra quelle conosciute nella zona.
Il Coraggio e l'Empatia Premiano Sempre
Una cantina storica (da quattro generazioni) della Sardegna crea un nome semplice ma intelligente per uno dei vini in gamma: Nau è un Cannonau. Semplice no? Qualcuno dirà "cosa ci voleva ad inventare un nome così?". Insomma ci voleva comunque un'idea e il coraggio di portarla avanti. Nau, in inglese pronunciato, significa anche "ora, adesso". Quindi breve, facilmente collegabile al vitigno, immediato, memorabile. Bravi. Anche l'etichetta è semplice sia pure narrativa. Rivela modernità in un ambito tradizionale e regionale con quattro bamboline more stilizzate che "fanno il verso" ai mori della bandiera autonomista sarda. Figure tra il manga e la matrioska. Questo è osare. Con ironia ed empatia. Si possono anche commettere degli errori, ma come diceva il Vate, l'italico "profeta": "Memento Audere Semper" (Gabriele d'Annunzio, Principe di Montenevoso).
Le Emozioni Guardano Oltre
"Non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi." scriveva Antoine de Saint Exùpery. In questa etichetta si possono vedere pochi, netti, elementi. Il resto viene "sollecitato" alle emozioni. E quelle sono comunque molto personali. Da sottolineare la semplicità, la linearità, la "schiettezza" delle scelte grafiche operate nel caso di questo vino rosso di produzione spagnola. Un nome, Ambata, molto leggibile e definito, su campo bianco. Un elemento visivo, l'uccello, appoggiato su una A rovesciata. Originale, eclettico, funzionale. Una bottiglia che si fa notare senza gridare, senza l'inutile sfarzo o il pomposo edonismo di certe vestizioni supponenti.
La Polverosa Eleganza Classica
Chariot, Sangiovese, Mer Soleil Vineyards.
Bella etichetta viene subito da dire. Classica, elegante, preziosa. Trasuda storicità e competenza. I materiali, la carta, la stampa, la punzonatura (il rilievo in alto a sinistra) denotano anche una certa predisposizione ad investire in qualità (per l'immagine oltre che per il prodotto). Poi, osservando e considerando bene, emerge una qual "polverosità". Il classico diventa "vecchio" e quel tipo di eleganza si espone indifesa ai "tempi che corrono". Funziona sempre, sia chiaro, ma forse il medesimo contenuto concettuale poteva essere trasmesso con codici più dinamici e brillanti. Il nome è evocativo, allude alla classicità greco-romana e forse anche alla costellazione dell'Orsa. Come "polverosità" va di pari passo con la grafica dell'etichetta. Per un pubblico agiato e "aged".
Eleganza e Design vanno a Nozze
La semplicità fatta eleganza, con un design lineare e godibile. Questa etichetta spicca il volo nell'area dell'attenzionalità da scaffale, mantenendo una gentilezza formale che incuriosisce e appassiona. Forme nette, precise, contrastate, ma originali, come quel triangolo scuro che entra dall'altro quasi ad indicare il prezioso contenuto. Visivamente un fiore ingentilisce ulteriormente e fornisce la "sponda concettuale" al nome, Petit Fleur, certo inflazionato ma pienamente accettabile e centrato per l'insieme della comunicazione. Colori e "pesi" cromatici senza sbavature e assolutamente equilibrati. Il ramato invece del solito oro attribuisce pregio con charme anticonformista. Complimenti al produttore argentino.
Il Vino, una Primitiva Gioia
Un vino spesso poco considerato, il Primitivo. Una regione ancora in "via di sviluppo" quella di Gioia del Colle. Ma qualcuno che lavora bene c'è. Qualcuno che punta il bersaglio dell'eccellenza, unica Passione del Vivere. Non abbiamo assaggiato il vino, qui parliamo di etichette. Ma certo la bottiglia si presenta bene. Scura, austera, ma con un "segno" morbido al suo vertice. Fluida preziosità. Il nome, Muro Santangelo, "da un piccolo vigneto di antichi alberelli" dice il produttore, è stato graficamente appoggiato, integrato, su uno strato di terra. Concettualmente forte, radicato, "territoriale". Unico difetto, la leggibilità delle scritte rosse su campo scuro nella parte inferiore. Ma per il resto si evidenzia un design di livello e non banalizzante.
Cioccolato Rosso (Fondente o al Latte?)
Sweet Red, ChocolatRouge.
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Equlibrio, Finezza, Eleganza di un Barolo
Eleganza formale ma anche "formativa" per quanto riguarda una etichetta di vino come questa. Certo siamo nell'abito e nell'ambito di una delle più classiche rappresentazioni del Nebbiolo, cioè in uno dei più celebrati "cru" di Barolo, ad opera di uno stimato produttore. Quindi non sarebbe stato questo il caso, da parte del designer incaricato, per lasciarsi andare a propulsioni comunicative avventate. Di certo la classicità è stata ben interpretata, con equilibrio grafico, cura degli elementi e anche una velata modernità della composizione cromatica. E' una bottiglia che si afferma (grazie anche al rilievo personalizzato sul vetro) ma non grida. In perfetta assonanza con il carattere di quelle terre e di quelle tradizioni. Il nome è "dovuto", alla collina che genera il nettare rosso in questione. Il resto dell'etichetta parla con garbo e competenza.
A Volte Tanto non è Tutto
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Sfavillanti Champagne alla Ribalta
Nocturne, Champagne, Taittinger.
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La Rosa Gialla di Garofoli
Buon esempio di semplicità in etichetta per questa bottiglia di vino di un noto produttore marchigiano. Il nero dona eleganza, le forme suadenti "accompagnano" l'occhio, quel "baffo" di giallo intenso (forse anche troppo "sparato", certo criticabile per un vino rosso) si fa notare sullo scaffale. Semplice e lineare: meglio così rispetto a spasmodiche profusioni di complessità. Il nome è interessante: si tratta di una rosa gialla del Giappone (da qui, immaginiamo l'uso del giallo in etichetta), unica specie della varietà Kerria che prende il nome dello studioso William Kerr che la introdusse in Europa. Naturalmente tra le caratteristiche del vino in questione vi è il profumo di rosa. Il cerchio si chiude. La modalità che è stata scelta per scrivere "Kerria", complessa e piuttosto slegata dal resto, conferma il generale dinamismo del design e si fa notare per originalità e slancio artistico.
Un Decoroso Appello a Rinunciare al Barocco
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Il Vino Bulgaro Elegante
Non molto tempo fa si diceva "bulgara" di una cosa non propriamente elegante e ben riuscita. Oggi i bulgari a quanto pare ci danno lezioni di packging. Il produttore Angelus Estate, sito nella parte orientale della Bulgaria, vicino al Mar Nero, sfoggia una serie di etichette (visibili qui) di tutto rispetto, tra le quali questo "top di gamma" (vino realizzato con uve Chardonnay, Viognier e Sauvignon Blanc) graficamente ineccepibile. Il marchio aziendale, piccolo, in basso, è classico ma ben integrato, il carattere di scrittura del nome White Stallion, anch'esso arcaico e "graziato" non stona nella generale modernità grafica dell'etichetta. Nome non molto creativo ma forte e preciso. Per il resto: il contrasto tra bianco e nero usato con intelligenza e interessanti il taglio e la goffratura (rilievo) della cartotecnica. Il tutto confermato da una originale scelta (probabilmente anche costosa) per il collarino della bottiglia. Complimenti ai bulgari!
Linee in Linea con un Concetto Guida
Linea Vini "Pregio", Monte Schiavo.
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Le etichette della linea "Pregio" del produttore marchigiano Monte Schiavo sono tutte diverse e tutte simili tra loro. Nel senso che l'azienda ha seguito un concept visivo "globale", differenziando i diversi vini con forme e colori. Come si dovrebbe sempre fare per una serie "apparentata" di prodotti, tale da potersi considerare appunto una "famiglia". Abbiamo il Sassaiolo, buon nome, forse in cercata assonanza con il celeberrimo Sassicaia, con la forma dell'etichetta a "masso", a monte; poi la Marzaiola che esprime una forma tondeggiante, il bianco Coste del Molino con forma triangolare e così via (altri elementi della medesima "famiglia" sono, qui non visualizzati, il Ruviano e il Pallio, oltre al Rosso Conero Serenelli). Insomma una ottima generazione di packaging. A questo si aggiunge che il
segno distintivo dell'azienda, tre linee orizzontali che probabilmente riproducono le stratificazioni del terreno, appare nel marchio e nelle bottiglie della gamma, portando avanti un discorso di memorabilità e "Brand Awareness". Un lavoro di immagine che parte da lontano, ha un costo di "progettazione", deve essere protratto nel tempo, ma alla fine dei conti porta vantaggi anche commerciali, concreti e riscontrabili.
Vino Leggero, lo Dice l'Etichetta
Aliante, Isola dei Nuraghi, Sella & Mosca.
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La Farfalla Tira
A volte il marketing e il packaging design fanno centro. A volte invece "vanno a farfalle" come si dice di certi portieri di calcio che si buttano un po' a caso. Certo la farfalla come genere va sempre. Fantasia, colore, natura. Qui siamo di fronte a un frizzante vino rosato "prodotto in Italia", molto probabilmente la confezione è destinata al mercato estero. Ma certi codici di comunicazione non hanno confini. Non potrebbe essere una confezione di profumo? O di caramelle alla rosa per vecchie carampane? O uno shampoo in stile belle epoque? E molte altre cose ancora. Vino? Avanti un altro!
Il Prosecco di Paris Hilton
Rich Secco, Prosecco.
La fantasmagorica (e dorica) Paris Hilton ha prestato la propria immagine in costume da bagno rosso al lancio (tempo fa) di questo Prosecco color oro che si può quindi facilmente definire "Ricco", almeno nel design. Constatato che costa 9 Euro al litro, probabilmente il nome "Rich" è riferito, oltre che al prodotto, anche al titolare dell'azienda. Operazione grandiosa, certamente fruttuosa, packaging "di livello", testimonial costosissima, confezione innovativa per un vino (la lattina che "sa" di birra, ma forse è questa la fine che il Prosecco farà di questo passo: una specie di alternativa alla birra, per tedeschi "schickimicki"). Per la cronaca il sito del produttore recita (a proposito della lattina versione "Secco"): "New name, same premium
quality: this sheer pleasure for all connoisseurs is made from the Glera grape.
Despite the new name, the taste hasn’t changed – RICH continues to deliver the
customary quality. The golden can cuts a good figure everywhere - not just in
the hands of Paris Hilton. RICH Secco offers an unbeatable combination of
glamor and convenience." Si trova anche in bottiglia, aggiungiamo noi, per i nostalgici e conoscitori del vino "versato". E per non fare la figura di quelli che condividono qualcosa con quel paese di Merkel.Una "Limonata" d'Altri Tempi
Prada a Tope non è un ironico gioco di parole, né un tentativo di plagio verso la nota Casa di Moda italiana. Si tratta di un produttore storico spagnolo che oltre al vino commercializza questa bizzarra Sangria. Non è dato a sapere cosa contiene esattamente la bottiglia, il produttore scrive: "the Prada
A Tope Mencía wine, raisins, fresh fruit... an Easter Week tradition in our
province. Why not enjoy it all year round? Served cold with a slice of orange
and lemon; savour its sweet notes and cinnamon hints." Parliamo dello stile dell'etichetta: piacevolmente retrò, graficamente moderno, bilanciato nei toni e nelle forme, eleganza e anche ironia se quel grappolo sulla faccia dell'uomo in alto a sinistra è "voluto". Non è Prada ma è fashion. Si fa notare con carattere. Ed è quello che ogni etichetta dovrebbe fare.
Se Questo è un Vino
7, Figula Wines.
Sotto a questo mantello grafico color ramarro si nasconde un vino di un produttore ungherese, e fin qui niente di male. Nel caso specifico crediamo si tratti di una "demo" sperimentata da qualche designer, non è quindi confermato che la bottiglia sia stata messa sul mercato proprio con questa veste. Sicuramente molti occhi ne sarebbero colpiti, molti animi turbati, molti esteti feriti. Ma a parte la grafica "bubbles" un po' anni '70, analizziamo il nome del vino che in questo caso è un numero. Il 7 porta fortuna, dicono. Ma un numero come nome risulta pur sempre piuttosto anonimo, contabile, da archivio pubblico (e anche da sala biliardo visto che il numero in questione è collocato in una sfera). E infine da notare il buffo nome dell’azienda (diciamo buffo per noi italiani): Figula. Ma questo non c’entra, ogni lingua ha le proprie affinità elettive e le proprie inflessioni furtive.
Lo Yin e lo Yang. La Scienza, la Fantasia.
Ministry of Clouds, Clare Valley.

La Vedova e le Sue Sorelle
A volte i produttori di vino intentano cause per plagi di nomi o di etichette. Spesso sono i grandi produttori di Champagne che "attaccano briga". Nel caso qui presentato un grosso e noto produttore cileno (forse sufficentemente lontano dalla Francia) ha creato una etichetta arancione, stilisticamente equilibrata e ben studiata, per il proprio Brut. Una etichetta che potrebbe ricordare quella del famoso Veuve Clicquot Ponsardin, se non altro per la scelta cromatica. Il merito dell'etichetta cilena è quello di manifestare un'idea concettuale e insieme cartotecnica: la rappresentazione delle bollicine evocata da fitti pallini in rilievo sulla sua superficie. Efficace e originale. Quanto al nome, questo non sembra molto originale, Sunrise, inoltre potrebbe risultare poco adatto a un vino di questo genere, di stile e consumo più serale che mattutino. Ma forse a qualcuno piacerebbe averlo con la frutta per la prima colazione.
Trasparenze che Comunicano
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One Tree Hill, Sauvignon Blanc.
A volte ritornano. Le mode, intendiamo dire. Quella delle etichette trasparenti è trasversale a paesi, vitigni e produttori. Non certo un buon esempio di leggibilità, può comunque risultare moderna ed elegante. In questo caso il packaging presenta un'idea in più: l'albero stilizzato alla base dell'etichetta "usufruisce" della "collina" formata dalle base in vetro della bottiglia (insomma il "culetto") per enfatizzare il nome del prodotto: la Collina dell'Albero Solitario (One Tree Hill). Un'idea grafica che aveva necessariamente bisogno della trasparenza. Diciamo anche l'impaginazione è frutto di un lavoro competente e qualitativo.
Il Pavoneggiarsi di Certe Etichette
Pinot Noir, Bradshaw Vineyards.
Questa etichetta della serie "gli illustratori" (non sappiamo se sono illustri o meno, il risultato è gradevole) veste una bottiglia di Pinot Noir proveniente dalla Romania. Il produttore è abbastanza noto, soprattutto a est, per il qualitativo e ammirevole tentativo di realizzare un Pinot Noir di livello borgognone. L'etichetta raffigura un pavone stilistciamente elaborato, con una coda che "incornicia" il tutto. Possiamo definirla "art decò", abbastanza curiosa, diversa dal solito; come nome si è deciso di enfatizzare il vitigno, argomento portante del marketing che punta all'imitazione dei grandi francesi. Tutto sommato per un paese dell'est Europa, un buon compromesso.
No Martini, No Party
Quando un prodotto diventa un'icona, allora potrebbe anche essere "vestito" di niente. Certo, Martini è un marchio che viene da lontano e che con scelte di marketing particolarmente azzeccate (vedi storico spot con George Clooney "no Martini, no Party" e recente iconografica "presenza" nelle scene iniziali del film La Grande Bellezza) ha saputo rimanere sull'onda di un successo ormai mondiale. Vediamo comunque come si veste la storica bottiglia di Asti Spumante della celebre marca di origini piemontesi. Campeggia in grande e focalizzante presenza il logo, permangono alcuni "stili" del passato, il carattere della denominazione Asti, gli stemmi delle casate reali, profili e cartigli vari. Nel complesso risulta non propriamente "ben assortita", cioè gli elementi del presente e del passato non sono ben amalgamati e appaiono disarmonici. Bella la forma della bottiglia che ricorda sinuosita femminili. Ma come si diceva all'inizio questo essere "icona" mondiale del marchio ufficiale, farebbe da traino anche per una pagina bianca.
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