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La Dura Legge del Nome
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La Madre di Tutte le Viti
Madrevite, Azienda Agricola, Umbria.
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Il Divino della Santa Trinità
The Holy Trinity, Barossa, Grant Burge Wines.
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Numerose Etichette
Il nome prescelto per questo vino del centro Italia, fa riferimento all'anno (496 a.C.) in cui gli Antichi Romani sconfissero la Lega Latina, nei pressi di Frascati, "spianando la strada ad una millenaria dominazione". Come scrive il produttore nel commentare questo vino. La data è certamente di quelle importanti, soprattutto a livello locale, ma anche in generale per la storia e la cultura della penisola italica. Ma c'è un "ma". Come già detto altre volte, il nome del vino dovrebbe essere memorabile, oltre che evocativo e coerente con prodotto, vitigno, territorio e storia. Un numero, soprattutto di tre cifre, è difficilmente memorizzabile.
Il rischio è quello di ottenere una notorietà "sui generis", così che gli avventori riescano, forse, a dire solo "Ma tu ti ricordi il nome di quel vino che si chiama con un numero?" senza riuscire ad identificare bene tipologia e azienda produttrice. La "passione" per i numeri storici di questa azienda, si manifesta anche in un'altra etichetta: "Diciassette Undici" (la sua "data di nasciata"), passito Cannellino di Frascati (un mix di vitigni bianchi). Numerologie a parte le etichette, graficamente, si presentano equilibrate e gradevoli.
L'Elementare Fonetica dei Nomi
Il Falchetto, azienda vitivinicola di Santo Stefano Belbo, ha chiamato il Moscato d'Asti ivi prodotto, Ciombo. Proprio così: "Ciombo". L'abbiamo scritto due volte per consentire alla mente di ognuno (meglio ancora pronunciarlo "a voce") di analizzare le sensazioni "fonetiche" che la dizione trasmette. "Ciombo", un po' come "tonfo" e come "floscio", ma anche, per etimo "indotto", come "inetto": tipo "quel tuo amico mi sembra un po' ciombo". Ma si potrebbero fare molti altri esempi e derivazioni. Serve anche aggiungere, quindi, che il nome "Ciombo" non collima per niente con l'eleganza del vino che viene chiamato a nominare: si tratta di un gentile, profumato, suadente Moscato d'Asti, come la descrizione del produttore, nel sito aziendale, conferma: "...al naso ha grandi sentori di fiori freschi...", Ciombo; e "nel finale una vena citrina rinfrescante...", Ciombo. "La sua dolcezza e aromaticità di sposano bene con dolci e paste...", Ciombo. Insomma, ogni volta che si pronuncia "Ciombo" il castello di carte cade. E questo, di certo, non è un buon viatico per una comunicazione emotivamente pregnante. A latere aggiungiamo altri due "sorprendenti" nomi rinvenuti nella gamma di questo produttore piemontese: Soulì Broida (!), Pian Scorrone (!!) e tra gli altri anche "Incompreso". che in un certo senso chiude il discorso.
Nomi "Ampi", Molto Evocativi
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Il Funambolismo deile Etichette
Scabi, Sangiovese di Romagna, Vini San Valentino.
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Parole al Vento
Sciurio, Sangiovese-Canaiolo-Merlot, Cantine Zanchi.
Non conosciamo il significato di questo nome, "Sciurio": nel sito del produttore non si fa menzione di origini dialettali ("scuro"?) o altro. E' comunque possibile fare una analisi di leggibilità e di pronunciabilità (fonetica). Insomma qui siamo a zero. Già risulta molto difficile pronunciare "Sciurio" per un italiano, immaginamo all'estero. Cosa può spingere dunque una azienda a chiamare così un vino? Le ragioni della comprensibilità e della memorabilità vanno oltre a quelle delle origini, del dialetto o del territorio. Qualunque esse siano. Il vino in questione, tra l'altro, è uno dei top di gamma, barricato, quindi destinato certamente anche a un mercato estero, o come minimo nazionale e non limitato alla regione di nascita (l'Umbria). Si tratta quindi di "nominare" con lungimiranza, pensando ai possibili acquirenti. A dir poco "curiosi" anche gli altri nomi dei vini di questa azienda: Pizzale, Flavo, Areia, Floresio, tanto per citarne alcuni. La ricerca dell'originalità o la difesa della "familiarità" a volte rischiano di generare risultati non ottimali, soprattutto in comunicazione.
Vitigni e Nomi dalla Grecia Antica
Didyme, Malvasia, Tasca d'Almerita.
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Veneto il Vino, Romano il Nome
Dicono che anche la Glera, vitigno con il quale si produce il Prosecco, sia giunta nelle regioni nord-orientali attraverso le conquiste degli Antichi Romani. E non si è trattato solo di vitigni ma anche di numeri e sistemi di misurazione. Ed ecco quindi che il nome prescelto per questo Prosecco viene espresso in numeri romani: DIVICI, sarebbe a dire 604. In pratica la D vale 500, la V vale 5 e la C vale 100. Un "gioco" letteral-numerologico (non tanto logico, visto che il numero a quanto pare non ha attinenze e la parola "divici" non significa nulla di particolare). Nel sito (americanizzato) del produttore si legge: "DIVICI was costructed from Roman numerals to create a memorable name of classical harmony". Qualche dubbio permane sulla memorabilità di questa "formula". Del resto il design dell'etichetta è molto elegante, molto italiano, molto "Giorgio Armani": essenziale, pulito, prezioso, austero ma non stantìo. Originali i rilievi sul vetro che riproducono le colonne classiche dell'architettura romanica. Gli americani, comunque, apprezzano.
Vespe Antiche e Moderne
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Santi Numi
Turi, Don Calò, Fani e Domi, Numi Vini.
Sembra uno sciogli-lingua la serie di nomi dei vini di Numi Vini. Letti tutti di seguito. La sintesi c'è: sono tutti di 4 lettere (se prendiamo il Don Calò per il solo "Calò" che è quello che si legge nell'immediato sull'etichetta). Forse mancano di profondità. Sembrano soprannomi più che nomi. E hanno qualche problema di leggibilità, formulati con il carattere di stampa (mescolato con una lettera "simbolica") che è stato scelto. Per quanto riguarda le etichette nel loro "complesso", nel sito dell'azienda produttrice si legge testualmente: "Un nome per ogni vino. Un volto per ogni nome. Un colore per ogni volto. Un carattere per ognuno di essi." Abbastanza sconcertante il giallo pieno, accettabili gli altri colori. Sicuramente una serie molto vistosa, non molto "vinosa". Potremmo annoverarle tra le etichette moderne.
Il Vento come Elemento Naturale
Spiffero, Ciliegiolo di Narni IGP, Fattoria Giro di Vento.
Quale nome migliore se non "Spiffero" per il vino di un produttore ha deciso di chiamarsi Giro di Vento? Coerenza e simpatia. Uno spiffero è certamente anche qualcosa di negativo quando fa filtrare aria gelata da sotto le porte in inverno, ma può essere anche una voce, un consiglio, un gustoso pettegolezzo. Anche "Giro di Vento" è un bel nome e al riguardo, nel sito dell'azienda si legge: "Sinergia perfetta tra uomo e natura, serenità della campagna e ricerca di eccellenza, equilibrio vitale di acqua, terra, sole e vento...". Il vento quindi come elemento naturale, qui "girato" in modalità quasi giocosa, certamente rispettosa dei suoi dispetti. Bella quindi la sinergia concettuale con Spiffero, ma peccato che il produttore non abbia continuato su questa strada evocativa, che riguarda le intemperie, chiamando gli altri vini Pura Vitae, Raggio, Lunaria Bianco e Lunaria Rosso. Bello il logo, ma qualche dubbio sulla scelta di un design "anni '70" per le etichette, forse alla ricerca di una modernità che come percezione può portare verso altri settori merceologici.
Sull'Altare della Visibilità
Non avrebbe bisogno di visibilità e di celebrità questa "colonna" del Barolo, produttore delle Langhe noto e apprezzato in tutta Italia e nel mondo. Ma ci prendiamo volentieri la briga di analizzare la sua comunicazione "labellare", cioè la sua collezione di etichette che in fin dei conti è come lui ha deciso di presentarsi ai consumatori del suo prezioso nettare. Si nota subito la "deriva azzurra" della gamma Barolo con il logo in alto e il nome del vigneto "cru" al centro. Un azzurro ciano, come tecnicamente si chiama l'azzurro acceso, nemmeno un blu di quelli "contenuti". Merita una riflessione questa nota cromatica azzurra, insolitamente abbinata al re dei vini austeri d'Italia. Inoltre il nome del "cru" in azzurro chiaro (di fatto il nome del vino, il nome con il quale distinguere proprio quella bottiglia) può creare problemi di leggibilità in luce moderata. Salta anche all'occhio, al conscio e all'inconscio della percezione intellettiva, la violazione di una delle principali "raccomandazioni" del design grafico, quella di non cambiare il colore al marchio aziendale, mantenendo per esso una rigorosa identità, per ogni tipo di sua "manifestazione". Il marchio in questo caso è la vittima sacrificale di una variabilità cromatica (qui probabilmente dettata dalla volontà di distinguere le varie famiglie della gamma) che sarebbe bene evitare. Ci sono altre modalità per differenziare le varie serie di etichette. Ultima osservazione: tutto il resto dell'etichetta è visibilmente fin troppo "normale" e "classico". Ma tutto sommato è comprensibile visto l'ambito super-tradizionalista nel quale si colloca il produttore in oggetto.
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Mizzega, che Vino!
Minchia, Montepulciano Australiano,
First Drop Wines.
First Drop Wines.
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La Testimonianza è una Bella Storia
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Attenzione alla Linea (Figurella)
Baronale, Codacchio, Figurella, Macchione, Radiosa, Nonno Vittorio.
Una nuova linea di etichette contraddistingue i vini del produttore "Nonno Vittorio" dalla provincia di Foggia. Produttore anche di olio di oliva, il logo lo dichiara subito, suddividendo la "O" finale di "Vittorio" in un tralcio e in un'oliva, ha recentemente rinnovato il packaging dei vini, come dichiarato nel sito aziendale: "Nonno Vittorio si rifà il look: abbiamo pensato a delle nuove etichette per i vini, create per esaltare lo spirito e il valore di ciascuna bottiglia." Non ci soffermeremo sul nome aziendale fortemente basato sull'avo di casa, stereotipo che all'estero può ben influenzare la clientela, e nemmeno sul logo (la "V" e la già citata "O" fatta di mezzo tralcio e mezza oliva). Ci interessa qui dare una lettura semantica, creativa e anche commerciale dei nomi dei vini. Figurella, innanzitutto: digitando tale denominazione in Google Search ognuno potrà constatare che il primo e assoluto risultato è la nota catena relativa al benessere e alla forma fisica che porta il medesimo nome. Insomma non una bella figura, anche se non vietata dal copyright, in quanto appartenente a diverso settore merceologico e di servizi. Baronale, parola forse con valenze (un vissuto gergale) più negative che positive. Codacchio che foneticamente porta, nel finale, ad espressioni macchiettistiche e nell'incipit "Coda" non è privo di richiami selvatici. Macchione, grossolano ma potrebbe risultare simpatico ed evocativo (salvo verificare cosa esattamente può evocare: l'area della "macchia" e del "macchiato" è in agguato) e infine Radiosa, bella parola, luminosa, foneticamente agevole, evocativa, sorridente, positiva.
Acqua di Colonia o Vino di Provenza?
Immaginate di vedere queste bottiglie su uno scaffale di una profumeria, non stonerebbero. Anzi, sarebbe indispensabile avvicinarsi e leggere l'etichetta per convincersi che invece si tratta di un vino rosato. In questo caso a confondere non è solo la grafica in etichetta, che se vogliamo è anche "moderna e disinibita" con quel punto esclamativo rosso e i caratteri di scrittura "a mano". E' anche l'industrial-design, cioè la forma della bottiglia e la sua trasparenza, a trasmettere "codici di percezione" similari a quelli di riferimento per il mondo dei cosmetici. La lotta per risultare originali nei confronti dei concorrenti non dovrebbe varcare i confini dell'immaginario collettivo: per utilità "commerciale" pratica, non per conformismo, anzi, il conformismo è il peggior nemico della creatività! Il vino in questione è un blend di Syrah, Grenache, Rolle e per quanto riguarda il naming, dobbiamo anche registrare che "Made in Provence" non è una gran trovata. Identifica molto bene la regionalità ma con un "mantra" comunicativo già molto sfruttato in tutto il mondo, in tutti i settori merceologici.
Un Vino ha Sempre una Storia da Raccontare
Le storie dei vini d'Italia si intrecciano in modo "naturale" con tradizione, cultura, arte, costume e molte altre amenità che lo stivale porta con sé in dote. I vitigni, i vigneti, le generazioni di viticoltori sono testimonianze viventi. Spesso per "estrarre" queste storie è necessario perlustrare il "Paese Italia" e parlare con la gente. Ancora pochi, tra i produttori, decidono di rendere centrale, ad uso della comunicazione di un vino, un racconto, una leggenda o una vicenda del passato. Per dare personalità e spessore al vino stesso. Eppure i potenziali clienti hanno sete di conoscenza, hanno voglia di sapere "cosa c'è dietro" a un vino, al suo nome, alla sua stessa natura, intesa come terra e territorio. Pensandoci bene un vino ha sempre una storia da raccontare. Basta andare a cercarla, a volte semplicemente assaggiandolo e calpestando le zolle dove è "cresciuto". Meglio ancora, la storia, trovarla in etichetta, prima di stappare la bottiglia. In questo esempio, tutto sommato sintetico ma esortativo, la Cantina di Negrar (Domìni Veneti) spiega l'origine del nome, Verjago (da "Vallis Veriacus", toponimo utilizzato nell'Alto Medioevo per circoscrivere i confini della Valle di Negrar, "capitale" della Valpolicella) con un breve racconto: "Anno di grazia 971. Un documento attesta che nella Valle Veriacus, nel Vicus Vile e nel luogo detto Termino, un campo di viti cambia padrone. E' l'inizio di una nuova storia, della quale questo vino è oggi l'erede." La storia nella storia. Per dare sapore ad una esperienza gustativa che vive anche di sensazioni "conoscitive".
Festa di Fiori e di Colori
L'etichetta dei vini definiti "piacere della festa" di un noto e grande produttore emiliano (noto più che altro per il Lambrusco) è ricca di colori. In particolare si notano le illustrazioni di alcuni fiori. Estrapolandola dalla bottiglia, cioè vedendo l'etichetta isolata in un quadrato, potrebbe somigliare alla confezione di certe caramelline alle erbe alpine. Se non fosse per il nome del vitigno, Malvasia, naturalmente. E per il marchio del celebre produttore. Curioso anche considerare che per esprimere "festa" sono stati scelti dei fiori, forse per decontestualizzare il vino e liberarlo da vincoli natalizi e quindi collocarlo, a livello di percezione, in un ambito celebrativo più "quotidiano" e non stagionale. L'impressione generale è quella di un vino "gioioso", poco impegnativo, giustamente spumeggiante. Ma forse anche non ai vertici qualitativi della categoria.
Due Lune sono Meglio di Una
Questa grande cantina siciliana ha un sito che graficamente non si può giudicare ma ha creato un'etichetta davvero interessante per "vestire" il suo Nerello Mascalese/Nero d'Avola. Design pulito, originalità nella cartotecnica, ma soprattutto un nome intrigante. Due Lune. Sembra semplice, lo è, di fatto. Breve, chiaro, lineare. La sua "furbizia" sta nel richiamare la luna, da sempre icona di magia e fascino, nonché arbitro di stagioni, meteorologia, umori e travasi. La sua originalità sta nel citare non sola una luna ma due. Rimane quell'alone di mistero anche nella percezione "esterna" del nome, nonostante l'etichetta confermi il tema con un'originale rappresentazione di due lune, una piccola e dorata dentro ad una luna più grande e nera. Forse lo yin e lo yang dell'esistenza, forse un segno "temporale" oltre che arcaico e tradizionale, nel senso della lavorazione del vino. Il nome, scritto in corsivo, non è pienamente leggibile ma è l'unico appunto che si può muovere a questa riuscita e lunare etichetta.
Quando il Design è Imitativo
Chandon, Brut Classic, California.
Ricorda molto un famoso Champagne il nome di questa casa vinicola californiana che ha fondato tutto il proprio business su una "vaga" assonanza con la Maison francese. All'inizio si è tentati di cercare da qualche parte nell'etichetta il "pezzo mancante", cioè il prefisso Moet... ma poi ci si rende conto che Chandon è il nome definitivo e che questo "brut classic" viene da oltre oceano (California, scritto in piccolo). La consonanza si è spinta, con il design della bottiglia, fino a proporre i classici colori della bandiera francese, bianco, rosso e blu, giusto per appagare l'occhio. Resta da scoprire se il contenuto della bottiglia possa minimamente competere con il rinomato rivale. Quella dei nomi "di deliberata identicità" invece che di libera autenticità è una fiorente attività davvero "poco creativa" e molto imitativa. Ma business is business, direbbero in California. Mentre in Francia direbbero sicuramente qualcosa di più "acceso".
Un Tocco di Follia
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Qui c'è un'Idea
Fog Mountain, Red Wine, California.
Raramente si trovano nelle etichette dei vini delle idee creative vere e proprie. Semplici ma originali. Idee ce ne sono molte in giro, ma stiamo parlando di quel guizzo, quel pensiero laterale, quel qualcosa in più, capace di distinguersi. Qui l'idea grafica è tutto sommato semplice, potrebbe dire qualcuno (sempre così, davanti a un'idea molti dicono "e cosa ci voleva?". Ci voleva un'idea, appunto), rappresentare il nome, il concetto del vino "la montagna nebbiosa" non solo verbalmente ma anche con un visual. Niente illustrazioni quindi (come raffigurare la nebbia?), ma l'idea di definire la "nebbiosità" con un insieme di scritte e lettere di varie dimensioni, che a sfumare diventano una montagna avvolta dalla foschia. Le lettere e le parole che compongono la montagna sono il nome stesso ripetuto più volte: Fog Mountain. Un gioco tipografico e cartografico che risulta efficace come comunicazione. E memorabile anche agli occhi dei più distratti. Ideas rules!
In (S)favore delle Etichette Tipografiche.
Ci sono due "problemi" con le etichette definibili come "tipografiche" (quelle che sostanzialmente sono - anche visivamente - composte da lettere, di solito molto grandi): il fatto che "poteva crearle anche un tipografo" (con tutto il rispetto per questa mirabile categoria artigiana ormai scomparsa in favore della composizione tipografica digitale) e l'aggravante di voler scrivere in verticale (perché, viste le limitate dimensioni delle etichette per bottiglie di vino e il loro sviluppo verticale, questa spesso risulta come l'unica soluzione possibile volendo collocare scritte macroscopiche). Il risultato si può accettare solo "a capo torto", cioè leggendole a collo inclinato. Ma non è solo questa "scomodità" a sconsigliare simili soluzioni creative (che di creativo hanno poco), è anche una questione di eleganza, gusto, bellezza. In pratica: la ricerca a tutti i costi di impatto visivo non deve prevaricare la gradevolezza generale.
Con i Piedi per Terra
Esistono molte versioni, leggermente diverse tra loro, di questa storica etichetta della Cantina Santadi. Etichette che nel tempo sono state ristilizzate spostando qualche elemento, migliorando la grafica e l'impaginazione, ma sostanzialmente mantenendo gli elementi importanti, che di base sono tre: il nome, Terre Brune, breve e vibrante, nonostante sia composto da due parole, molto concreto e descrittivo ma al tempo stesso emozionante nella sua semplicità "agricola". Bello, e coerente con gli altri elementi, anche il carattere di scrittura. Quindi possiamo vedere al centro l'immagine al tratto di un nuraghe, collocato su due "nastri di colore" che rappresentano la conformazione del territorio del Sulcis. Pochi semplici elementi che risuonano all'unisono. Nel complesso un'etichetta che ben esprime la classicità insieme alla volontà di "innovare nel solco della tradizione".
Vino Antico, Arte Moderna.
Fiano di Avellino, Le Masciare.
Non ha un nome questo vino, se non la denominazione relativa al vitigno. Accade quando il vitigno di riferimento è "preminente" e da solo "fa notorietà" e attira l'attenzione. Non ci rimane quindi che analizzare il visual dell'etichetta, molto colorato, ardito nel tratto, contemporaneo nell'arteggio. Si presume che quello sghiribizzo rappresenti la vigna e i suoi frutti. Il risultato, guardando nel suo complesso la grafica dell'etichetta, non è male. Fra tante etichette che "mettono in mostra" l'arte queste hanno un loro gusto cromatico e studiato equilibrio. Forse l'unica critica la potremmo rivolgere al carattere di scrittura in corsivo di Fiano di Avellino, che se fosse stato più "inquadrato" avrebbe donato ancora più equilibrio all'insieme.
Quando l'Etichetta è una Tombola
Per questo vino, molto particolare, un syrah siciliano biologico e quindi senza solfiti aggiunti, il titolare dell'azienda ha voluto celebrare i 20 anni di attività della medesima. Prima vendemmia nel lontano 1993, e poi questa annata, il 2013, a sancire due decadi di vinificazione. Il concetto e l'intenzione sono mirabili, ma l'effetto comunicativo meno. Questa serie di numeri in etichetta, scritti senza riferimenti a datazioni di sorta (poi il concetto è spiegato nel retro etichetta, ma la prima impressione è quella che conta, spesso) sono molto visibili ma poco memorabili. Difficile ricordare la serie 93-20-13 se non annotandosela per giocarla al lotto, magari. In aggiunta a questa considerazione notiamo una scritta in francese "les joeux sont faits", un chiaro invito, per quei numeri, di giocarli alla roulette (se non che al lotto il 93 non c'è e la roulette arriva fino a 36)! La vittoria quindi non sarà probabilmente numerologica ma gustativa, quello sì.
Elementare, Watson!
Trovare la "soluzione" giusta per l'etichetta di una bottiglia di vino è tutt'altro che elementare. La questione è che la grafica e il design devono essere semplici e fruibili (leggibili, memorabili, gradevoli, evocativi, emozionali) ma la semplicità non va confusa (o barattata) con il "semplicismo tipografico". Diciamo che mettere in fila (e centrare otticamente) le informazioni di legge che devono apparire in etichetta non è difficile. Altra storia è fornire queste informazioni ai potenziali clienti con una modalità creativa e soprattutto comunicativa (nei termini di semplicità e fruibilità descritti sopra). Molti produttori di grandi vini di gran nome come Amarone, Brunello, Barolo, Chianti Classico, Barbaresco, Sagrantino, Aglianico, credono che, stante il Grande Nome, sia sufficiente un'etichetta eterea, semplicemente descrittiva, senza emozioni, senza il guizzo di un'idea. Ma "sullo scaffale" la competizione è agguerrita e di fatto qualche concorrente (magari con un prodotto inferiore, accade anche questo) si distingue in modo particolare e si afferma di più, sia in termini di notorietà che di vendite.
Il Sacro Fuoco
Etichetta da "pensiero laterale": il nome Fogo, in portoghese "fuoco", è breve ed evocativo: uno dei 4 elementi della filosofia greca antica, simbolico e concettualmente comunicativo, viene accompagnato da una bella illustrazione di un galletto costituito da segmenti di fiamme rosse. Se vogliamo trovare un difetto possiamo dire che il galletto è notoriamente "territorio francese". Ma almeno l'uso che ne viene fatto in questo caso è coerente con il nome e gradevole come impatto visivo. Etichetta graficamente equilibrata, di ottimo impatto, apprezzabile l'originalita. Tornando al nome, molto protagonista come dimensioni, è certamente parola generica ma dotata di grande forza. 4 lettere soltanto (in italiano "Fuoco" ne ha 5 quindi è parificabile), immediatezza, ancestralità, impeto: memorabilità garantita.
Il Packging è un'Arte Varia
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Epica Poetica e Anche Pratica
Un'etichetta con particolari che potrebbero colpire: il nome a caratteri "cubitali", l'estrema pulizia grafica (non sempre positiva), quel particolare puntino della "i", rosso, scavato e romboidale. E forse primo fra tutti quello "stiloso" modo di "pizzicare" la "A" da parte della "C", grazie all'andamento verticale del nome. Le parole in verticale non si prestano ad una lettura "comunicativa" e immediata. Spesso sono vezzi grafici alla ricerca di un'originalità che nuoce più che giovare. In questo caso, il nome in verticale, ad uso e consumo di quelle idea di far incontrare in quel modo la "C" e la "A", diventa nota di distinzione. E regala uno spunto di creatività ad una etichetta che per il resto è senza "guizzi".
Arte e Vino si Sposano Bene
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